Più spinta alle soluzioni extragiudiziali, limitazione degli effetti delle revocatorie, procedure di favore per il debitore. Sono alcuni dei capisaldi dell’intervento di riforma del diritto fallimentare. Tra norme in vigore da subito e altre che dovranno essere tradotte in un decreto delegato il progetto non appare certo minimalista. La legge assume un atteggiamento di sicuro favore per forme oggi poco utilizzate come il concordato preventivo e gli accordi stragiudiziali, affidando all’autorità giudiziaria un controllo di legalità. Sul piatto vengono messe possibilità di deroga ai requisiti di maggioranza sino a ieri previsti, la divisione dei debitori in classi con relativi voti articolati, l’affidamento al debitore di un piano di ristrutturazione delle proprie posizioni che non penalizzi i debitori.
Sulle revocatorie il progetto prevede da una parte un nutrito elenco di atti da considerare esenti (tra questi, le rimesse in conto corrente che non hanno alterato in maniera sensibile l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca e la vendita a giusto prezzo della casa utilizzata come abitazione principale), dall’altro, sotto forma di delega, la riduzione dei tempi di decadenza dell’azione.
Ma a essere ridefinita è anche la fisionomia dei protagonisti della procedura. A partire dall’imprenditore, che potrà godere dell’esdebitazione e, cioè, dell’annullamento dei debiti residui nel caso di corretto comportamento durante tutto il procedimento. Anche il comitato dei creditori sarà responsabilizzato affiancando un curatore che potrà essere individuato anche tra studi e società professionali. A essere abbreviate saranno, poi, la procedura di accertamento del passivo e di ripartizione dell’attivo che verranno dotate di tempi certi e verificabili mentre l’amministrazione controllata oggi prevista dovrà essere abrogata, rappresentando, per il legislatore, in molti casi, solo l’anticamera del fallimento.